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giovedì 16 novembre 2017

Sul falso e sul vero populismo


Secondo il dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti, il significante "populismo" - dall'inglese "populism", derivato di "populist" - può assumere i seguenti significati:

1 - Atteggiamento o movimento politico tendente a esaltare demagogicamente il ruolo e i valori delle classi popolari;

2 - (spregiativo) Atteggiamento demagogico volto ad assecondare le aspettative del popolo, indipendentemente da ogni valutazione del loro contenuto, della loro opportunità;

3 - Movimento rivoluzionario russo che tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo propugnava l'emancipazione delle classi contadine e dei servi della gleba attraverso la realizzazione di una sorta di socialismo rurale;

4 - In ambito artistico, raffigurazione idealizzata del popolo, presentato come modello positivo.

Per estensione:

Qualsiasi movimento politico diretto all'esaltazione demagogica delle qualità e capacità delle classi popolari.

Il lettore noterà facilmente come, dei quattro significati - tre, ove si vogliano espungere dall'elenco il quarto, attinente a un ambito metapolitico e metasociale di chiara matrice simbolista, e il quinto, assorbito dal secondo -, l'unico cui in Italia e in Europa si riconduca il termine nel suo utilizzo nel dibattito politico sia quello, spregiativo, di "atteggiamento demagogico volto ad assecondare acriticamente le aspettative del popolo".

Nel Belpaese, dopo la breve stagione dell' "Uomo Qualunque" di Guglielmo Giannini, negli anni '40 del secolo scorso, il suo uso è tornato recentemente e prepotentemente in auge insieme a quello, privo di significato sostanziale perchè affetto da intima contraddizione semantica, di "antipolitica" (l' "antipolitica" esaurisce se stessa nel "fare politica"), per edificare una nebulosa categoria di pretesa minorazione intellettuale entro cui confinare un soggetto politico emergente - il Movimento 5 Stelle -, percepito come "pericoloso" per l'ordine costituito e irredimibilmente "diverso" da ogni aggregazione affacciatasi in passato sulla ribalta politica dell'Italia repubblicana.

Secondo la vulgata storiografica prevalente, populisti furono i tiranni aristocratici greci e sicelioti del VII, VI e V secolo a.C. che intesero, impadronendosi del potere, dare nuovo impulso al processo di crescita della sfera pubblica (che sarebbe poi approdato all'esperienza democratica radicale nell'Atene periclea); populista fu lo scaltro e ambizioso alcmeonide Alcibiade, l'ultimo dei grandi ateniesi del V secolo a.C., che, al netto di ogni ambiguità, servì fino all'ultimo la patria cercando di evitare la disfatta epocale poi inflittale dalla strana coalizione spartano-persiana; populisti furono senz'altro due personaggi audaci e scomodissimi, invisi al ceto corporativo senatorio della Res Publica romana del II secolo a.C. - quei fratelli Gracchi che intesero riformare, ridisegnando la sclerotizzata politica agraria dei maiores in favore della plebe urbana e rurale, l'architettura politico-istituzionale della Repubblica - avviandone di fatto il declino in favore del Principato. 

Per niente populista fu, per invincibili ragioni storiche, il sovrano altomedievale ostaggio dell'aristocrazia fondiaria feudale e, sotto certi aspetti, il vicerè spagnolo che resse Napoli dai primi anni del XVI secolo fino al 1707 facendone tragico grumo di privilegi aristocratici e altoborghesi, paradiso della rendita parassitaria, incubatrice di un lumpenproletariat "lazzaronesco" (proletariato straccione) che ne avrebbe segnato per sempre la storia sociale, economica e culturale - incrostandone oleograficamente la percezione ben al di là di quanto il suo effettivo peso nella struttura sociale cittadina potesse giustificare.

Populisti furono ancora, invece, gli ultimi miopi e incapaci Borboni di Napoli che consegnarono all'Italia unita una ex capitale alle soglie di una (incompiuta) rivoluzione industriale e un Mezzogiorno in tragico ritardo, disperatamente ultimo in Europa - in balia, soprattutto nelle province, di un'assenza pressochè totale di progresso civile, morale, materiale.

Sarebbe possibile, sebbene superfluo, continuare con esempi del recente passato novecentesco.

Dalla digressione storiografica emerge incontrovertibilmente come il "populismo" non possa essere storicamente ed automaticamente associato, come categoria socio-antropologico-politica, a temperie di regresso politico, sociale, civile, economico, culturale, o ad epoche permeate di oscurantismo egualitaristico.

Ed emerge, altrettanto incontrovertibilmente, come, di contro, un'azione politica non (considerata) "populista" sia stata spesso prodromica di dinamiche regressive sul piano politico, sociale ed economico.

Risulta dunque evidente come il significato corrente del termine "populismo" sia, almeno sul piano storico, del tutto insufficiente e inadeguato per delinearne i tratti caratterizzanti e delimitarne univocamente gli effetti sul piano politico, economico e sociale.

Appare pertanto necessario ricercarne uno nuovo e piu' pregnante.

Esso, a ben vedere, non può che inferirsi partendo da ciò che sicuramente vi è sotteso, e cioè:

LA NEGAZIONE DI OGNI DISSENSO.

Il filosofo Diego Fusaro scrive, in un acutissimo saggio breve edito da Einaudi intitolato "Pensare altrimenti", che "l'ordine dominante non reprime, oggi, il dissenso. Ma opera affinchè esso non si costituisca. Fa in modo che il pluralismo del villaggio globale si risolva in un monologo di massa. Perciò dissentire significa opporsi al consenso imperante, per dare vita alla possibilità di pensare ed essere altrimenti".

Goethe, dal canto suo, scrisse che "nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo".

Viviamo - noi italiani, gli altri europei, gli "occidentali" in genere - nella gabbia d'acciaio del mercato globale, del mondialismo finanziario post-industriale degli apolidi signori del capitale e della politica asservita alle logiche ateo-materialiste della neosocietà nichilista performante in cui l'individuo non è che atomo-consumatore e in cui sovranità e stato sociale sono sottoposti a una inesorabile opera di scarnificazione.

Vi conduciamo un'esistenza penosa e spensierata, vittime inconsapevoli di bieche politiche monetariste imposte da oscuri tecnocrati non eletti che manovrano sinistramente le leve del potere consegnandoci a un futuro-angoscia al quale l'essere umano è sacrificato sull'altare di perverse logiche orientate al profitto ordocapitalistico e alla rendita finanziaria speculativa e parassitaria.

E', questa, la realtà distopica - fatta di reiterati furti di sovranità (monetaria, normativa, fiscale, economica); d'inesorabili, impalpabili, subliminali, continue compressioni delle libertà fondamentali di pensiero, associazione, parola; di protervi attentati al diritto naturale alla felicità; di proditori attacchi allo stato sociale - dei moderni uomini-schiavi ebbri di falsa libertà.

La storia dell'Umanità è piena di dissensi. "La rivoluzione, la ribellione, la defezione, la protesta, la rivolta e l'ammutinamento civile, l'antagonismo e il disaccordo, la disobbedienza, la resistenza, la contestazione, sono tutte forme del "dissenso".

"Dissentì Prometeo dinanzi all'ordine divino che imponeva la subalternità dei mortali, e poi Socrate, dinanzi alle leggi ingiuste della polis ateniese. E Spartaco, Catilina con l'efferata audacia della sua congiura, Lutero con le sue tesi ardite. Ancora, Giordano Bruno, Cromwell, i movimenti americani contro le guerre del Vietnam e della Corea, e Marx e Lenin contro le leggi del capitale. Dissentirono gli antifascisti in Italia e Pasolini contro il nuovo fascismo della civiltà dei consumi, i rivoluzionari in Francia nel 1789, e i Russi nel 1917. E poi, ancora, Mandela, Che Guevara e, semplicemente disobbedendo, Ghandi. In tempi più recenti, dissentirono a Genova, nel 2001, i "no Global", e dissentono ancora, ogni giorno, i comitati di fabbrica contro i piani selvaggi di ristrutturazione aziendale che impongono delocalizzazioni, demansionamenti, sradicamenti, anomia, mobilità insostenibile, tagli inaccettabili ai salari.

"Dissentì Cristo", che nell'evocare la Gerusalemme Celeste si oppose alle ingiustizie di quella terrena.

Ebbene, lungi dall'essere "populisti" - nel senso "intimo" connesso alla pregnante definizione appena fornita - le donne e gli uomini del Movimento 5 Stelle non fanno altro che rivendicare strenuamente, attraverso la loro partecipazione politica, il proprio sacro, inviolabile, incomprimibile diritto-dovere di dissentire.

E', DUNQUE, IL DISSENSO - contro l'ordine politico costituito; contro la burocrazia asfissiante che mina la competitività del Paese; contro le cattive leggi; contro l'ipernormazione e le leggi ad personam; contro il sistema partitocratico; contro le dissennate politiche ambientali di governi ciechi; contro una classe politica inetta, corporativa, ripiegata su se stessa e incapace di intercettare le istanze della società civile; contro l'Europa dei banchieri, dei tecnocrati e dei nuovi fascismi finanziari; contro l'abietta logica utilitaristica asservita al profitto-a-qualsiasi-costo; contro lo smantellamento dello stato sociale; contro la morte di ogni Umanesimo; contro le sperequazioni in ogni loro declinazione; contro l'immobilismo reazionario della classe dirigente; contro gli innumerevoli centri di potere che paralizzano l'attività della pubblica amministrazione; contro la cattiva scuola; contro l'incertezza del diritto e delle pene; contro i potentati, le dinastie baronali, il familismo amorale; contro tutte le mafie - LA MATRICE COSTITUTIVA DEL MOVIMENTO 5 STELLE.

Il dissenso che le pietrificate, sclerotizzate compagini partitiche italiane intendono anestetizzare al loro interno - creando le condizioni per un artificioso, asettico, pletorico consenso intorno a logori stereotipi di falsi leader magniloquenti, ignoranti, pregni d'hidalghesca albagia - e reprimere all'esterno affinche' nulla possa turbare l'ordine costituito di cui esse stesse sono garanti. 

Dissenso che è antitesi di ogni populismo.

Dissenso da difendere, custodire, garantire nella possibilità del suo libero dispiegarsi.

Dissenso potenzialmente, democraticamente e virtuosamente sovversivo, da coltivare attraverso la costante mobilitazione delle coscienze, da alimentare mediante la costruzione possibile di un consenso libero, democratico, ab solutus - sciolto, cioe', da ogni scellerato vincolo veteropartitocratico di coalizione.

Dissenso da tramutare in consenso intorno all'idea bella, prometeica, di una nuova Italia, di una nuova società, di una nuova politica che rechi in sé gli anticorpi contro l'unico, vero populismo: Quello del potere vanaglorioso e pletorico che, dissimulando la propria essenza autoritaria, non faccia altro che tentare di perpetuare se stesso.



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